L’idea delle “città giardino”.
La zona che costituisce il cuore del Quartiere Monte Sacro, e che conosciamo come “Città Giardino”, fu realizzata all’inizio degli anni Venti secondo le idee urbanistiche di Ebenezer Howard, il grande teorico inglese delle “Garden cities”: centri suburbani ricchi di verde, in cui ritrovare “tutti i vantaggi della vita cittadina più esuberante ed attiva e tutte le gioie e le bellezze della campagna” (E. Howard, Garden Cities of Tomorrow, 1902), senza i rispettivi inconvenienti (costi elevati e insalubrità nella città, mancanza di opportunità e di strutture nella campagna).
L’idea ebbe successo in tutto il mondo occidentale e conobbe diversi tentativi di realizzazione, accomunati da caratteristiche abbastanza precise. Una “città giardino” doveva essere un quartiere satellite della città, di dimensioni non eccessive, indipendente (grazie alla presenza di tutti i servizi essenziali), ma ben collegato. I tratti comuni nelle realizzazioni erano il “ricorso a tipologie edilizie poco dense, villini e piccole palazzine, sistemazione di un luogo baricentrico in cui vengono collocati i principali servizi del quartiere e ricorso a caratteri stilistici ‘pittoreschi’ ” (A. Galassi – B. Rizzo, Città Giardino Aniene, Minerva ed. 2013).
Questo modello era espressione anche di una visione sociale, quella delle teorie “comunitarie” e “culturaliste”, che guardava con preoccupazione alla disumanizzazione delle metropoli e “individuava nella famiglia l’unità di base che struttura i raggruppamenti umani e costituisce l’elemento naturale di controllo sociale in un ambito più vasto localizzato nel ‘vicinato’ (neighborhood)” (E. Detti e P. Sica, Urbanistica, in Enciclopedia del Novecento Treccani, 1984) ( 1 ).
Diventa così chiaro che quando parliamo di “identità e vivibilità” di Città Giardino come beni da difendere parliamo di un binomio indissolubile: la vivibilità del quartiere, tanto apprezzata nel tempo dai suoi residenti, è sempre stata legata alla difesa della sua identità, anche urbanistica. Un’identità che certamente nel tempo può crescere, arricchirsi. Ma non può ripudiare se stessa, se non pagando il prezzo di un disfacimento del tessuto comunitario, di una perdita del senso di appartenenza su cui si fonda la solidarietà reciproca.
Nascita e profilo urbanistico di “Città Giardino Aniene”.
In Italia il primo esperimento di città Giardino era stato quello di Milanino (sobborgo di Milano), avviato nel 1910.
Dopo la Grande Guerra, nel 1919, il D.L. 2318 assicurò finanziamenti per la costruzione di nuovi alloggi a Roma, prevedendo che alcune zone fossero “da destinarsi a città giardino”. Gustavo Giovannoni – forse il maggiore architetto italiano di inizio Novecento – venne incaricato di predisporre il piano urbanistico per due nuove città giardino: “Borgata Giardino Garbatella” e – con un’estensione maggiore – “Città Giardino Aniene”. Altre zone di Roma – o parti di esse – saranno interessate da scelte urbanistiche ispirate al modello delle città giardino (sia pure implicitamente, e non con progetti organici come quelli di Giovannoni): Monteverde Vecchio, Ponte Milvio, Trieste, Quartiere Africano, ecc.
La struttura del nuovo quartiere “Città Giardino Aniene” – i cui lavori poterono iniziare già alla fine del 1920 – fu definita intorno a un nucleo principale, piazza Sempione, che raggruppa gli edifici rappresentativi (Chiesa, Palazzo dei servizi civici), un palazzo con una pluralità di funzioni (cinema-teatro e abitazioni) e altri edifici residenziali semintensivi. Costituendo così l’ingresso scenografico per chi proviene dalla città, ma anche un classico esempio di “piazza italiana”: spazio multifunzionale, predisposto per i servizi e gli eventi comunitarî.
Come via d’accesso – essendo insufficiente per i collegamenti l’antico Ponte Nomentano – fu progettato (direttamente da Giovannoni) il nuovo Ponte Tazio, su cui transiterà il tram.
Dalla piazza partono due anelli, a formare una sorta di 8: uno a nord, più ampio, costituito da viale Adriatico e viale Carnaro, seguendo l’andamento della collinetta allora chiamata “Colle Fiscale” (perché attigua ai “Prati Fiscali”); l’altro anello a sud, più stretto, costituito da viale Gottardo e via Cimone, che si insinua tra il “Colle – o Monte – Sacro” (a ovest), e la collinetta allora chiamata la “Montagnola” (a est). I due anelli erano anche la sede del tram che serviva l’intera Città Giardino prima di tornare a Largo Sempione e connettersi con la linea principale di collegamento al Centro di Roma.
Giovannoni era convinto dell’importanza di seguire la conformazione geografica (rilievi, anse del fiume): “il ricorso al gioco delle vie curve, delle piazze irregolari e delle visuali interrotte può essere ‘l’unico mezzo adatto per dare forma armonica agli aggruppamenti edilizi quando non sia possibile imprimere a questi vera unità architettonica, o quando le condizioni altimetriche mal consentano disposizioni regolari’ ” (G. Giovannoni in Galassi-Rizzo, cit.).
L’elemento unificante, oltre allo stile, doveva essere costituito dal “provvido elemento della vegetazione arborea che circonda e nasconde e unisce” (ibidem).
La vegetazione che costituisce la trama del quartiere è quella dei viali alberati; ma soprattutto quella dei villini, che costituiscono la tipologia edilizia principale, a dimensione familiare. Ogni villino era circondato da un ampio giardino, da utilizzare anche come orto.
La realizzazione dei villini fu affidata a giovani ingegneri e architetti incaricati dalle cooperative (o direttamente dall’UEN). Ma il Regolamento edilizio emanato dal Consorzio e la supervisione di un Comitato tecnico (con l’attiva presenza di Giovannoni) garantivano una certa omogeneità stilistica. Lo stile architettonico era improntato al cosiddetto “barocchetto romano”, ricco di decorazioni e con tratti medievaleggianti. Questo stile non consisteva in un semplice esercizio di manierismo decorativo, ma voleva “tenere conto delle peculiari condizioni climatiche, delle tradizioni artistiche, dei materiali del luogo, rifiutando l’asciuttezza del nuovo stile internazionale diffusosi in altri paesi europei e (…) contrapponendosi decisamente alle geometrie dello stile razionalista” (Galassi-Rizzo, cit.).
Accanto ai villini furono pensati anche alcuni edifici di edilizia semintensiva.
Quelli destinati prevalentemente ad alloggi popolari, realizzati dall’ICP, riprendono gli stilemi dei villini, ovviamente con volumetrie maggiori.
Un particolare rilievo – meritando quindi una trattazione separata – assumono i due grandi edifici destinati prevalentemente a servizi pubblici, che si affacciano su piazza Sempione e furono realizzati da Innocenzo Sabbatini.
Insomma: la particolarità storica e urbanistica di Città Giardino ha fatto sì che il nuovo piano regolatore di Roma capitale abbia inserito questa zona nella “Città storica”, con le tutele connesse.
Il profilo socio-economico del nuovo quartiere.
Per attuare il piano di Città Giardino Aniene venne costituito un consorzio tra il Comune di Roma, l’Istituto Case Popolari (ICP) e l’Unione Edilizia Nazionale (UEN). Il Consorzio affidò la costruzione dei villini prevalentemente a cooperative edilizie, coordinando i lavori. Tra le cooperative avevano particolare rilievo quelle degli Impiegati delle Ferrovie (che ebbe in assegnazione il lotto più esteso), degli Impiegati dello Stato, dei Liberi professionisti (con un lotto più piccolo). L’ICP realizzò direttamente alcuni edifici residenziali semintensivi, destinati agli alloggi più economici.
La forte presenza di impiegati pubblici tra i destinatari degli alloggi aveva influenzato anche la scelta del sito, poiché la Nomentana consentiva il collegamento più diretto al nucleo dei Ministeri realizzato intorno a Porta Pia.
La caratterizzazione sociale degli abitanti che si apprestavano a popolare la nuova Città Giardino Aniene evidenzia peraltro quanto sia superficiale – e indice di scarsa conoscenza del quartiere – il giudizio di chi ne riconduce la vivibilità a ragioni di benessere economico: Città Giardino, in quanto costituito da villini, sarebbe un “quartiere bene”, elitario. In realtà nasce come quartiere popolare e piccolo borghese. La vivibilità è quindi il frutto della struttura urbanistica delle “città giardino”, quella di un aggregato che – come visto – fonda la dimensione comunitaria sul rispetto di quella familiare e individuale.
Ma non basta. La vivibilità è (o era…) anche il frutto di scelte equilibrate nella destinazione degli spazi pubblici e nelle linee di sviluppo economico. Se leggiamo infatti i contratti con cui il Consorzio per la Città Giardino cedeva a privati alcuni lotti di terreno in cui dovevano essere realizzati edifici semintensivi (ad esempio il villino Ravagnan a corso Sempione e i villini Nurzia a piazza Bolivar), con i piani superiori destinati ad alloggi e il pianterreno a uffici e botteghe, troviamo per queste ultime “l’espresso divieto di adibirle ad osterie o rivendite di vino o industrie rumorose od emananti esalazioni nocive o a qualsiasi uso che sia contrario all’igiene e al decoro ed alla sicurezza dei villini circostanti” (Galassi-Rizzo, cit.; il corsivo-grassetto è nostro). Capiamo bene, allora, quanto il quartiere sia completamente snaturato dall’odierna trasformazione in distretto della movida…
La costruzione di Città Giardino, iniziata alla fine del 1920, si poteva dire completata nell’arco di un decennio, con una popolazione che già nel 1927 era giunta a 10.000 abitanti.
Il 16 luglio del 1924, con Deliberazione del regio commissario Filippo Cremonesi n. 1087, Città Giardino – Aniene diventò il XVI Quartiere di Roma e assunse il nome “Monte Sacro” (in molti siti internet la data del cambiamento di nome viene fatta risalire al 1951, ma si tratta di un errore).
Città Giardino nel Secondo dopoguerra.
Negli anni Cinquanta e Sessanta il grande l’afflusso di popolazione nella capitale fece crescere enormemente la domanda di alloggi e comportò una poderosa espansione edilizia, inglobando l’originaria Città Giardino.
Oggi il “Quartiere” XVI Monte Sacro comprende quattro “zone urbanistiche”: Monte Sacro (la zona 4A, che corrisponde proprio a Città Giardino e ha un’estensione di 1,67 kmq), Sacco Pastore, Conca d’Oro e Tufello.
La domanda alloggiativa venne soddisfatta in maniera spesso disordinata. Molti villini vennero abbattuti e sostituiti con palazzine di tre/quattro piani: i proprietarî vendevano il villino al costruttore riservandosi la proprietà di alcuni appartamenti della nuova palazzina. Altre palazzine furono costruite non al posto di villini preesistenti, ma negli spazi verdi tra gli stessi.
Questa trasformazione ha indubbiamente comportato un danno estetico e un’alterazione degli equilibri demografici, con aumento della densità abitativa. Ma la sua portata è stata spesso ingigantita. “Un rilievo accurato delle permanenze ha permesso di valutare l’effettiva incidenza delle demolizioni: a fronte della modificazione innegabile della morfologia urbana, sono rimasti quasi il 70% dei villini originari e l’intero patrimonio edilizio costruito dall’Istituto Case Popolari sia nella localizzazione intorno a Piazza Sempione che nelle aree maggiormente periferiche. Va inoltre ricordato che la struttura urbana di Città Giardino Aniene è completamente conservata nei tracciati viari, e che molto spesso, anche a fronte delle demolizioni dei villini, si sono conservate le murature di perimetrazione dei lotti e un gran numero di cancelli e recinzioni originari” (Galassi-Rizzo, cit.).
A seguito dell’edificazione di numerose palazzine l’immagine odierna del quartiere è divenuta quindi quella di un edificato misto, in cui però l’identità originaria “a misura d’uomo” è in larga parte preservata dalla forte presenza di villini, dall’abbondanza di verde e dalla conservazione della struttura urbana preesistente.
La densità della popolazione, benché aumentata, è restata largamente al di sotto di quella delle altre aree interamente urbanizzate. Città Giardino nel 2013 contava 16.490 abitanti, con una densità di 9.874,3 abitanti per Kmq.
Fino a pochi anni fa la vivibilità restava ottima grazie anche alla completezza dei servizi presenti (oggi si direbbe un esempio di “città dei 15 minuti”).
L’unico problema sopraggiunto è stato quello del traffico, soprattutto negli spostamenti verso il Centro. L’intero quadrante nord-est della capitale ha infatti solo tre punti di passaggio per attraversare la barriera naturale dell’Aniene: Ponte Salario, Ponte delle Valli e, naturalmente, Ponte Tazio, su cui è gravato il peso della mobilità a motore proveniente non solo da Città Giardino, ma anche dai quartieri sorti alle sue spalle. Questo peso ha costretto anche a mutare l’assetto viario – e la vivibilità – di piazza Sempione, che negli anni Ottanta è diventata uno spazio di attraversamento della viabilità principale.
Non sono mai state realizzate le infrastrutture necessarie. Negli anni Settanta si era parlato di una bretella sottopasso da via Nomentana-angolo Sannazzaro fino alla Tangenziale, ben presto accantonata. Sempre in quegli anni si rinunciò a far giungere a Monte Sacro il previsto prolungamento della linea B della metropolitana, dirottato sulla Tiburtina. E anche la successiva diramazione B1 ha deviato più a Nord. Ora si attende la linea D (un miraggio?).
Città Giardino oggi, centro della movida.
La data spartiacque per una trasformazione ben più profonda è il 2016. In quell’anno una Direttiva della Giunta Marchionne stabiliva di dare “massimo impulso” alle occupazioni di suolo pubblico (le “osp”: in sostanza gazebo e tavolini), nella convinzione – più volte dichiarata – che quello della somministrazione di cibo e bevande fosse il settore capace di “ridare vita” al quartiere e “rilanciare” l’economia locale.
A questo “impulso” hanno fatto seguito decisioni coerenti (progetti urbanistici ad hoc, carenze di controlli, inerzia amministrativa nel prendere atto della “saturazione” di locali, previsione di finanziamenti) che hanno reso Città Giardino un centro della movida.
In realtà la movida – come esponiamo approfonditamente – è un fenomeno economico speculativo, che rende invivibili i quartieri di sera e li desertifica di giorno.
Nel caso specifico di Città Giardino, la deriva come distretto di monofruizione (per il consumo di alcol) comporta la perdita della sua identità, derivante non solo dalla struttura urbanistica, ma anche dall’equilibrio nella destinazione degli spazi pubblici definito dai progettisti di Città Giardino (ricordiamo come avessero – profeticamente! – stabilito il divieto di adibire arbitrariamente le botteghe “ad osterie o rivendite di vino”…).
Laddove c’era effettivamente una “città dei 15 minuti”, questa sta sparendo, in assoluta controtendenza rispetto agli obiettivi annunciati dall’Amministrazione comunale: tutti i locali che in precedenza ospitavano negozi, artigiani, servizi, vengono occupati da attività di somministrazione di cibo e bevande (alcoliche), a differenza di quello che accade in altri quartieri.
Una deriva contro cui è impegnato il nostro comitato: “Salviamo piazza Sempione” e, con essa, Città Giardino.
Note:
- A questa visione si contrapponeva, nel dibattito culturale di inizio Novecento, quella del “Movimento moderno” (di cui sono espressione, pur nelle loro diversità, la Bauhaus, Le Courbusier, l’edilizia socialista), vale a dire la concezione “di una frattura storica radicale (…) e di un altrettanto radicale rinnovamento della teoria e della pratica” (Ibidem). Frattura del tessuto sociale tradizionale anche mediante l’urbanistica, in chiave funzionalista, razionalista e collettivista; una nuova prospettiva in cui la dimensione privata e familiare era compressa. All’edilizia residenziale a “misura d’uomo” delle città giardino si contrapponevano così i grossi complessi residenziali pubblici, “con una forte caratterizzazione espressiva, che tocca toni epici e celebrativi nel celebre Karl Marx Hof” di Vienna (Ibidem).
Tale visione si è sviluppata sino agli anni Settanta, partorendo complessi abnormi e disumanizzanti – in cui è trionfato il degrado – come il “serpentone” di Corviale e gli edifici di Tor Bella Monaca a Roma, le Vele a Napoli, Pilastro a Bologna, ZEN a Palermo, le Piagge a Firenze: gigantesche distopie ideologiche, che esprimevano – così il prof. Franco Purini descrive gli intenti del progettista di Corviale – una concezione dell’ “abitare come movimento eroico (…) che avrebbe fatto prevalere gli interessi collettivi su quelli privati”.
Il loro fallimento non è dipeso dunque da “insufficienze” nella realizzazione, ma dall’idea stessa che li fondava.
Questi “mostri” sono stati originati dalla pianificazione pubblica; ma nelle città anche lo sviluppo edilizio privato ha spesso privilegiato l’edilizia intensiva, a causa dei costi elevati dei terreni.
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Salviamo piazzale Adriatico.E’ in arrivo un’altro food & drink, se chiude anche la banca ( succede in tutta Roma ) tutta la piazza diventerà inaccessibile ai residenti. Unica salvezza la prevenzione.
Come è scritto nella parte conclusiva dell’articolo: “Salviamo piazza Sempione e, con essa, tutta Città Giardino”. Anche piazzale Adriatico, certo, perché la movida è un fenomeno pervasivo, che tende a soffocare il territorio.
Una delle misure fondamentali è quella di bloccare l’apertura di nuovi locali nei quartieri già saturi: ci siamo impegnati a lungo per ottenere il risultato di una mozione in tal senso dell’Assemblea Capitolina (https://www.salviamopiazzasempione.it/2023/01/30/assemblea-capitolina-stop-locali-movida/). Purtroppo deve ancora essere recepita dalla Giunta e, nel frattempo, nuovi locali possono aprire…
Noi non possiamo far altro che proseguire nel nostro impegno, col sostegno dei cittadini ed energia sempre maggiore.